Le opere scultoree e le installazioni di Gilberto Zorio (Andorno Micca, Biella, 1944) sono campi inesauribili di energia e di materia in trasformazione. Tra i pionieri dell’Arte povera, con il suo linguaggio rivoluzionario e sperimentale Zorio ha contribuito a cambiare la storia dell’arte. Dalla metà degli anni sessanta l’artista ha indirizzato la propria ricerca in direzione di una processualità che rende continuamente mutevole ciascun lavoro: in tal senso ha rinnovato il linguaggio della scultura, liberandola dalla fissità e dalla pesantezza a cui è tradizionalmente associata. Attivando reazioni chimiche, fisiche, e occupando lo spazio aereo oltre a quello sonoro, Zorio immette i propri lavori all’interno di un ciclo vitale di fronte al quale egli per primo si pone come spettatore. Il tempo è spesso una componente importante, in quanto solo il naturale trascorrere delle ore e dei giorni rende pienamente tangibile il dispiegarsi delle trasformazioni a cui le opere sono soggette. Il metodo dell’artista si basa sulla capacità di pensare ogni evento espositivo come una nuova pagina bianca, carica di inedite possibilità.
Questa mostra raccoglie oltre cinquant’anni di ricerca, proponendo in un percorso intenzionalmente denso e non cronologico alcuni tra i più importanti lavori realizzati da Zorio, tra cui installazioni storiche gelosamente custodite dall’artista nella propria collezione privata e un prezioso nucleo di disegni con progetti mai realizzati. Queste rare opere sono presentate al pubblico accanto a lavori provenienti da selezionate collezioni e a nuove installazioni appositamente realizzate per le sale del Castello.
La mostra offre l’emozione di uno spazio in continua espansione, nel quale la sapienza alchemica di Zorio abbraccia tecnologie futuribili e saperi antichissimi, mentre luce e buio disegnano visioni inaspettate che coinvolgono tutti i sensi.
[Gilberto Zorio, Odio, 1971. Foto: Paolo Mussat Sartor]